L’oro del Perù
Il viaggio in Perù di Flora Tristan avviene nel 1833-34 e dura quindici mesi. È un’odissea personale intrapresa per reclamare la propria parte di fortuna della famiglia Tristan, un tentativo disperato, concluso con un fallimento.
Flora arriva in Perù negli anni in cui le colonie spagnole del Sud America, approfittando della sconfitta inflitta alla Spagna da Napoleone, hanno cominciato a chiedere la propria indipendenza. Nel 1821, il Protettore Josè San Martin, convinto che solo una monarchia costituzionale potesse garantire al Perù un governo stabile, aveva dichiarato l’indipendenza del paese, ma è stato costretto ad abdicare dopo un anno. I generali non la pensavano come lui e hanno nominato presidente un colonnello, Riva Aguero. Nel 1823 è arrivato Bolivar, divenuto leader di statura mondiale, a rimpiazzarlo, ma dopo tre anni anche lui ha dovuto lasciare il governo del paese e tornare in Venezuela. Nei dieci anni successivi si alternano ben sei presidenti.
Nel 1833 in Perù c’è la guerra civile, le miniere d’oro e d’argento sono in rovina, l’agricoltura è quasi in abbandono, le classi alte vivono nella pigrizia e nel lusso, i cittadini benestanti sono depredati dai militari, gli Indiani e i Neri vivono in schiavitù. Colpita dall’arretratezza e dalla corruzione della società peruviana, Flora propone alcune riforme, per migliorare le condizioni di vita di tutta la popolazione, compresi gli schiavi. Grazie alla posizione importante dello zio, la Tristan è in contatto con tutte le persone che governavano il paese ed è ad esse che espone i suoi progetti. La riforma che considera più importante è quella dell’istruzione. L’apprendimento della lettura e della scrittura limiterebbe l’ignoranza e i pregiudizi e permetterebbe alla popolazione di sottrarsi al giogo pesante del governo civile e religioso. La seconda riforma riguarda il lavoro, che dovrebbe essere accessibile a tutti, per porre fine alla povertà e alla dipendenza dalla mendicità di una buona parte dei peruviani.
Una parte del libro è dedicata a queste proposte, ma la maggior parte di esso è descrittiva. Spesso i resoconti – del terremoto, della guerra, della condizione degli schiavi – sono drammatici e non potrebbe essere altrimenti. Spesso – vedi il capitolo sulle donne di Lima o sulla vita all’interno dei conventi – sono testimonianze straordinarie e preziose, di grande interesse storico per la loro unicità. E quando parla di se stessa e delle sue disavventure quotidiane Flora lo fa con umorismo.
Il viaggio acuisce la sua sensibilità verso gli oppressi. Andata in Perù a cercare un po’ di ricchezza che non trova, scopre un tesoro molto più importante, una maggiore presa di coscienza e, quando torna in Europa, il suo impegno nel dedicarsi alla difesa dei più deboli è totale. “Se non si può essere felici – dice – si può almeno essere utili.”
Sa che la mancanza di reticenza di questo diario di viaggio e del racconto della sua vicenda sarà disapprovata e avrà delle conseguenze. Decide tuttavia di parlare di sé e dei propri problemi per attirare l’attenzione su tutte le donne che si trovano nella sua stessa condizione. La reazione dello zio è immediata e terribile. Brucia il libro sulla pubblica piazza e le sospende la piccola rendita che le aveva accordato, condannandola così definitivamente alla condizione di ‘paria’, priva del necessario per vivere. Ma la diseredazione diventerà per lei il punto di partenza di una nuova vita.
Flora e Paul
Flora Tristan è la nonna del pittore Paul Gauguin, figlio di sua figlia Aline. Gauguin ha trascorso a Lima alcuni anni della sua infanzia, perché sua madre ha affrontato lo stesso viaggio di Flora, per ottenere un aiuto economico dai parenti di laggiù.
Nel 1895, a trentasette anni, il pittore, che viveva a Parigi, ha abbandonato l’Europa, dove l’arte “aveva perso il proprio vigore, a causa di certi artisti e critici”, per andare alla ricerca di un mondo incontaminato e primitivo, prima a Tahiti , poi alle isole Marchesi. Spirito anarchico, in lotta perenne con l’ordine costituito, anticlericale, antimilitarista, cantore dell’amore libero, è sempre andato controcorrente con grande coraggio.
Diceva di avere una natura indiana insieme a quella sensitiva ed è stato il primo a iniziare l’Europa all’incontro con altre culture. Sia Flora che Paul, pur nella differenza delle soluzioni proposte - sociale quella di Flora, individuale quella di Paul - hanno denunciato gli abusi di potere e hanno condannato sia il capitalismo che il colonialismo.
Ecco come Paul Gauguin descrive Flora Tristan nella sua autobiografia Oviri, écrits d’un sauvage:
“Mia nonna era una tipa strana. Si chiamava Flora Tristan. Proudhon diceva che aveva del genio. Non sapendo nulla di lei, mi fido di Proudhon.
Ha inventato un sacco di storie socialiste, fra le quali l’Union Ouvrière. Gli operai, riconoscenti, le hanno fatto un monumento nel cimitero di Bordeaux.
È probabile che non sapesse cucinare. Era una saccentona socialista, anarchica. Le si attribuisce la fondazione, insieme con padre Enfantin 1), del Compagnonnage 2) (…).
Ella morì nel 1844 e molte delegazioni seguirono il suo feretro.
Vi posso assicurare, tuttavia, che Flora Tristan era una donna molto graziosa e nobile. So che ha devoluto tutti i suoi soldi alla causa operaia, viaggiando incessantemente. È andata anche in Perù a incontrare lo zio, il cittadino Don Pio de Tristan Moscoso, della famiglia d’Aragona…”